Si è svolto presso il Centro di Studi Americani un convegno organizzato dall’Ambasciata degli Stati Uniti d’America sull’impatto che l’industria della moda ha sull’ambiente e le possibili soluzioni per un futuro sostenibile.
I lavori sono stati aperti dal Direttore del Centro di Studi Americani Roberto Sgalla che ha parlato della necessità di rivoluzionare il concetto e la cultura dell’industria della moda per adattarla alla necessità del cambiamento climatico e della collaborazione fra il sistema produttivo americano e quello italiano.
La Professoressa Amy Myers Jaff della New York University ha ribadito che l’industria manifatturiera deve produrre molto di meno rispetto ad oggi, si calcola che ci sia una sovra-produzione del 30/40% che va ad impattare negativamente sull’ambiente creando problemi di smaltimento. Le fibre tessili poi sono costituite da fibre sintetiche, in parole povere da plastica che poi si riversa negli oceani, determinando l’inquinamento dei mari.
In America poi per andare incontro a questo enorme problema ambientale si sta adottando una politica del riciclo stanno cioè sorgendo imprese che riciclano tutte le fibre tessili e le riadattano nuovamente per creare nuovi capi di abbigliamento.
Il vintage sta avendo un enorme successo fra i giovani che iniziano a considerare la qualità della moda, le fibre tessili naturali, i capi di 20 o 30 anni fa che non devono essere buttati via, ma riutilizzati, quindi non un consumismo fine a se stesso, ma un nuovo modo di intendere la moda.
Sempre secondo la prof. Amy Myers la vendita on line, con l’immissione nel mercato di merce scontata tutto l’anno, determina un consumismo di massa che per la tutela e la sostenibilità dell’ambiente deve assolutamente essere modificato.
Il ministero dell’Ambiente sostiene attraverso misure mirate a sostenere le aziende per traiettarle verso un nuovo modello di sviluppo che si basa su energie alternative e sul risparmio di acqua fondamentale per molti processi produttivi.
Il ministero del Made in Italy e delle imprese sostiene, con appositi programmi di sviluppo industriale, le imprese che investono nel green, come per esempio industrie che producono fibre tessili dalla buccia delle arance o mutuano altre fibre dalla natura ed allo stesso tempo sono attente anche al risparmio energetico.
Al contempo si sottolinea la necessità di tutelare il nostro sistema produttivo della moda (migliaia di posti di lavoro, indotto, territori che hanno una storia da preservare e da sviluppare), introducendo criteri di sostenibilità ed economicità, ma soprattutto una nuova cultura di impresa ed una nuova coscienza sui consumi.
IL PARERE DI FISMO SU QUESTI TEMI
Fismo da anni sostiene l’importanza una produzione innovativa e rispettosa dell’ambiente e chiede il sostegno istituzionale per la promozione e lo sviluppo di una certificazione per i prodotti italiani che rispettino criteri di sicurezza e sostenibilità. Tale certificazione sarebbe funzionale ad arricchire il concetto di Made in Italy, già sinonimo di qualità, con gli elementi della sostenibilità valutati sempre più positivamente dai consumatori.
Per quanto riguarda le vendite on line Fismo da tempo sottolinea l’importanza del rafforzamento della presenza sul web dei negozi fisici, che consente una costante interazione con il cliente. Per questo a livello istituzionale ha chiesto agevolazioni fiscali per la digitalizzazione dei punti vendita, capendo che la clientela sarà sempre più orientata verso l’acquisto online.
Infine la richiesta della Fismo al ministero competente è quella di promuovere e finanziare modelli di slow fashion, che favoriscano la diffusione di prodotti di qualità, valorizzando le produzioni locali e il Made in Italy. Questo modello è opposto a quello basato sulle collezioni (fast fashion) che al contrario prevede l’acquisto di molti capi di bassa qualità, che durano meno ed alimentano la produzione di rifiuti.